Da Roma a Martinica in barca a vela: la mia prima traversata Atlantica
Il 5 gennaio 2022, esattamente un anno fa, si è conclusa la mia prima traversata Atlantica in barca a vela, da Roma a Martinica. Un viaggio durato quasi 2 mesi, lungo poco meno di 5.000 miglia, con tre tappe intermedie: Palma di Maiorca, Gibilterra e Las Palmas di Gran Canaria.
Sono Andrea, il comandante di Mina Vagante 2 e in questo articolo voglio condividere con te il sogno che ho realizzato, nella speranza che sia da stimolo per realizzare i tuoi, di sogni.
Ti racconterò come abbiamo preparato la barca per la traversata Atlantica, come ci siamo organizzati, quali tappe abbiamo fatto, quali condizioni abbiamo trovato in mare e le emozioni provate lungo il viaggio. Spero di farti sognare un po’ e di darti delle dritte utili se stai pensando anche tu di mollare gli ormeggi.
INDICE DEI CONTENUTI
- Prima di partire: come ci siamo preparati per la traversata Atlantica in barca a vela
- Il Mediterraneo a vela
- Da Gibilterra alle Canarie
- La traversata Atlantica in barca a vela
- Cosa ho imparato dalla mia prima traversata Atlantica
- Da Roma a Martinica in meno di 8 minuti: il video completo del viaggio
Prima di partire: come ci siamo preparati per la traversata Atlantica in barca a vela
Anche se abbiamo mollato gli ormeggi il 10 novembre 2021, il viaggio è cominciato qualche mese prima, all’inizio dell’estate.
Alberto, mio amico ed esperto comandante nonostante la sua giovane età, era stato ingaggiato per trasferire una barca a vela a Martinica, dove sarebbe rimasta per l’intera stagione estiva ai Caraibi. Subito mi sono offerto di partecipare al viaggio, se ce ne fosse stata la possibilità, e mentre ancora navigavo tra le isole Pontine a bordo di Mina Vagante 2, Alberto ha confermato il viaggio e la mia presenza a bordo.
D’accordo con Alberto e con l’armatore, avrei aiutato con i lavori di preparazione della barca prima della partenza, in un cantiere a Fiumara Grande (Fiumicino, Roma).
All’inizio non ci credevo: ero certo che ci sarebbe stato qualche intoppo che avrebbe annullato la traversata oceanica, ma con il passare del tempo i preparativi andavano avanti e la data indicativa della partenza che ci eravamo dati (il 24 ottobre 2021) si avvicinava sempre di più.
La barca con cui ho attraversato l’Oceano Atlantico è un Beneteau Oceanis 60 del 2018. Una barca a vela di 18 metri, molto recente e performante, con tre cabine matrimoniali, tre bagni, una cabina marinaio (che abbiamo usato solo come cala vele e ripostiglio) e dotata di tutti i comfort che una moderna barca a vela può avere: generatore elettrico, dissalatore, splitter a inverter in ogni cabina per aria condizionata in estate e aria calda in inverno, lavasciuga, ecc.
Ciò nonostante, per attraversare un oceano i soli comfort non sono sufficienti. Bisogna avere molte accortezze in più, soprattutto perché per buona parte del percorso si naviga a distanze non raggiungibili dai normali mezzi di soccorso.
Per questo i primi di settembre 2021 la barca è stata portata in cantiere a Fiumara Grande per fare tutti i lavori necessari, tra cui: riparazione della pala del timone (aveva subito un urto qualche settimana prima), verifica dell’intera timoneria, sistemazione e rinforzo del rollbar strutturale, dove agisce la scotta randa in tutta la sua forza, revisione di tutti i winch e del rollgen idraulico, sostituzione del vang rigido e delle batterie servizi, installazione di pannelli fotovoltaici e del generatore idroelettrico, check completo dell’albero, disarmamento e revisione di randa, genoa, fiocco e code 0, realizzazione di nuove vele (trinchetta e gennaker), sostituzione di alcune drizze e scotte, realizzazione dello strallo di trinchetta, tagliando del motore e del generatore, rifacimento della carena, e tanto tanto altro ancora.
Sempre in termini di sicurezza, è stato acquistato il sistema di comunicazione satellitare Iridium GO e io ho portato con me il mio Garmin InReach mini, con cui potevo condividere la rotta con amici e parenti a terra, oltre a inviare e ricevere messaggi di testo.
Avevamo deciso di partire il 24 ottobre perché in questo modo avremmo potuto attraversare il Mediterraneo con tutta calma, fermandoci anche in un paio di posti, e saremmo arrivati a Las Palmas di Gran Canaria in tempo per partire poco dopo la ARC, una regata da Las Palmas a Santa Lucia che si svolge a fine novembre.
Questo è il periodo migliore per attraversare l’Atlantico in barca a vela: la stagione degli uragani è terminata e l’Aliseo, cioè il vento costante che spira da est verso ovest in prossimità dell’Equatore, generalmente si è già stabilizzato, dando la giusta spinta alle vele della barca.
Inoltre avremmo attraversato l’oceano in compagnia delle barche che partecipavano alla ARC e, soprattutto, saremmo arrivati a Martinica nella prima metà di dicembre, in tempo per festeggiare il Natale e il Capodanno su una splendida isola caraibica dell’arcipelago delle Grenadine, a sud di Martinica.
Ma i programmi non sempre vanno come vogliamo, e a causa dei ritardi nei lavori in cantiere siamo riusciti a partire soltanto il 10 novembre 2021, in netto ritardo sulla tabella di marcia!
Ad ogni modo, l’esperienza che stavo per condividere insieme ai miei compagni di viaggio era lì, concreta, e stava per iniziare. La mattina del 10 novembre sono uscito di casa insieme alla mia compagna Alice e prima di arrivare in barca siamo passati a prendere un altro membro dell’equipaggio, Claudio.
L’emozione di percorrere per l’ultima volta quella banchina che nei giorni precedenti avevo percorso centinaia di volte era incredibile. E poi vedere lei, la barca, pronta e vogliosa di strappare quegli ormeggi che ancora la vincolavano alla terra ferma, mi ha letteralmente tolto il fiato.
Le emozioni si sono amplificate quando al molo siamo stati raggiunti dai nostri cari, amici e parenti, per un saluto pieno di commozione.
Il sogno stava per iniziare. Anzi, il sogno era iniziato!
Da qui inizia il racconto della traversata Atlantica in barca a vela: un viaggio da Roma a Martinica durato 56 giorni. Se oltre a leggerne le parole vuoi vederne anche le immagini, puoi guardare questo video che in meno di 8 minuti riassume tutta l’emozione e la magia della navigazione. Metti le cuffie, alza il volume e sali a bordo con me!
Le cose da dire su un viaggio del genere sono tante, e non ci stanno tutte in un solo articolo. Per questo ho diviso il viaggio in più puntate e pubblicherò altri episodi che approfondiscono aspetti o momenti specifici di questa esperienza.
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Il Mediterraneo a vela
Siamo partiti per la traversata Atlantica da Fiumicino il 10 novembre, ma prima di arrivare nell’Oceano Atlantico dovevamo raggiungere e oltrepassare le colonne d’Ercole, l’inizio – o la fine – del Mar Mediterraneo. Abbiamo percorso circa 1.000 miglia prima di poter solcare l’oceano, e questa tratta è stata spezzata da due soste: Palma di Maiorca e Gibilterra.
Verrebbe strano a pensarlo, ma la navigazione nel Mediterraneo è stata molto più impegnativa della navigazione in pieno Oceano Atlantico. Vuoi per la stagione di fine autunno, con temperature basse e diversi fronti temporaleschi sul nostro percorso, vuoi per il traffico più intenso di imbarcazioni, pescherecci e navi, vuoi per la vicinanza di terre emerse, vuoi anche per la naturale caratteristica di un mare chiuso come in Mediterraneo, soprattutto nel Golfo del Leone e nel Mare di Alboran.
Di fatto, la navigazione più dura di tutto il viaggio è stata proprio nel Mare Nostrum.
Da Roma a Palma di Maiorca
Alle 15.15 del 10 novembre 2021 abbiamo mollato gli ormeggi, diretti verso la traversata Atlantica!
A terra a salutarci la mia compagna Alice, parenti e amici. L’emozione per me è stata enorme, un sogno che avevo nel cassetto fin da piccolo era lì, concreto, che stava per iniziare.
Insieme a me facevano parte dell’equipaggio:
- Alberto, il comandante. Lavora nel charter da anni e aveva alle spalle già due traversate Atlantiche;
- Flavia, la compagna di Alberto, anche lei lavora nel charter, ma non aveva mai fatto una traversata Atlantica. Due anni prima, insieme ad Alberto, era arrivata “solamente” fino alle Canarie da Roma;
- Marco, mio amico e armatore della barca gemella di Mina Vagante 2, non aveva tantissima esperienza, ma aveva tanta voglia di fare e di imparare. In più si vede che è proprio portato per la barca a vela!
- Claudio, il nostro guru, armatore di un bellissimo Este 39 e regatante da una vita, era alla sua seconda traversata Atlantica. La prima la fece proprio insieme ad Alberto due anni prima;
- Giuliano, amico di Alberto, giramondo di professione e amante del mare e della vela. Se nominavi un qualsiasi posto sulla Terra lui sicuramente ci era già stato! Incredibile!
Mollate le cime e salutati tutti a terra, Alberto ha girato la barca puntando verso la foce del Tevere. Prima di uscire in mare aperto ci siamo fermati al bunkeraggio di Porto Romano, sulla sponda destra del fiume. Il cielo era coperto da dense nuvole e c’era qualche raffica di vento. Mentre facevamo il pieno di gasolio mi sono vestito con giacca e pantaloni della cerata, mentre tutti gli altri mi prendevano in giro per l’eccesso di prudenza. Li lasciai fare, memore delle tante volte in cui, in regata e durante i charter, il meteo cambiò repentinamente, spesso senza dare il tempo di vestirsi adeguatamente.
Una volta fuori dai fanali di Fiumara eravamo finalmente liberi di iniziare il nostro tanto sognato viaggio, niente ci avrebbe più trattenuto a terra. Il programma della prima tappa prevedeva di arrivare a Palma di Maiorca passando per le Bocche di Bonifacio.
Abbiamo issato randa e genoa e, non appena le vele erano a riva, è arrivato un groppo (salto di vento improvviso e repentino) con 40 nodi. Il mare si è agitato subito e in pochi minuti avevamo due metri di onda che spazzavano la coperta. A causa del forte vento la pioggia era praticamente orizzontale e neppure il pozzetto poteva offrire riparo. Tutti mi guardavano invidiosi della cerata che avevo già indossato (non mi prendete più in giro, eh!).
Abbiamo avvolto il genoa e dato due mani alla randa. Mi sono avvicinato ad Alberto dicendogli che se voleva rientrare per noi non c’erano problemi. La sua risposta secca: “Ma che sei matto! Basta stare a terra, andiamo andiamo, tanto è solo un groppo!”.
Quindi mettemmo la prua in direzione Sardegna del Nord, come da programma.
Con la barca in assetto, diedi il cambio a Marco al timone. Come tutti gli altri era zuppo fradicio. Tutti scesero sotto coperta a cambiarsi e a mettersi la cerata.
“Come partenza niente male”, penso…
Dopo 15-20 minuti il groppo passò e il vento si stabilizzò. Avevamo una bella andatura al traverso/bolina larga ed eravamo in rotta. La barca era veloce, avevamo già due lenze in acqua ed eravamo davvero felici di essere lì insieme, a condividere questo lungo viaggio.
Davanti a noi circa 5.000 miglia da percorrere!
Quando l’onda diminuì Alberto andò a prua a controllare l’attrezzatura. Si accorse che si era sfilato un bullone del rollafiocco e che dovevamo assolutamente sistemarlo, altrimenti non avremmo potuto usare il genoa. Decidemmo di fare uno stop tecnico a Cannigione (nord della Sardegna) per riparare il rollafiocco. Nel frattempo, per precauzione, avevamo avvolto con cautela parte del genoa per tenere l’avvolgitore più compatto.
Il pomeriggio successivo, al tramonto, abboccò il nostro primo bel tonnetto. Hurrà!
Era già buio quando abbiamo dato fondo all’ancora di fronte al porto di Cannigione. Appena sistemato l’ancoraggio, abbiamo riparato il rollafiocco con mezzi di fortuna. Poi, per cena, abbiamo inaugurato il barbecue Weber con il nostro bel pesciotto. Slurp!
L’indomani all’alba Alberto e Giuliano hanno salpato l’ancora, dirigendosi verso le Bocche di Bonifacio e poi via verso sud-ovest, con rotta su Palma di Maiorca.
Iniziava il temuto Golfo del Leone. Inizialmente il cielo azzurro era intervallato da nubi sparse qua e là, alcune con grandi rovesci di pioggia. Li controllavamo sia a vista sia sul radar e siamo riusciti ad evitarli facendo un po’ di zig-zag.
I due giorni successivi sono passati abbastanza tranquilli: qualche pioggia qua e là, vento sempre a favore e onda accettabile. Chi se lo sarebbe aspettato un passaggio del Golfo del Leone così favorevole in quel periodo dell’anno! Semplicemente fantastico! Anche un bel branco di delfini ci ha tenuto compagnia per diverso tempo, come per darci il saluto per il lungo viaggio appena iniziato.
L’ultima sera abbiamo aspettato di essere riparati da Minorca prima di accendere il barbecue per cucinare una buonissima tagliata appena scottata. Eravamo tutti seduti in pozzetto, avvolti da buio pesto, freddo e umidità. Ciò nonostante mangiavamo tranquilli, con un fustino di vino da 5 litri sul tavolo, assecondando il rollio della barca e controllando di continuo le luci intorno a noi e gli strumenti. Sembrava di mangiare in un’osteria sotto casa! Incredibile!
Il giorno successivo, il 14 novembre, siamo arrivati a Palma di Maiorca sotto una pioggia battente e in completa assenza di vento. La calma che c’era nel golfo di Palma era surreale. Abbiamo chiamato il marina Reial Club Nàutic de Palma e i marinai ci hanno guidato verso il nostro posto barca.
La prima tappa verso la traversata dell’Atlantico era conclusa e, anche se zuppi sotto la pioggia, eravamo strafelici di essere lì.
Da Palma di Maiorca a Gibilterra
Siamo stati a Palma di Maiorca 3 giorni, dal 14 al 17 novembre.
Buona parte del tempo l’abbiamo trascorsa a sistemare il rollafiocco e a risolvere un altro problema alla scotta della randa di cui ci siamo accorti quando siamo arrivati in porto.
Ci siamo però anche presi qualche momento di relax, abbiamo visitato il centro storico e il grande porto di Palma.
C’è stata anche una modifica nell’equipaggio: purtroppo Giuliano aveva degli impegni di lavoro e ci ha dovuto salutare. Da sei che eravamo, siamo rimasti in cinque.
La sera del 17 novembre siamo partiti, con rotta sud-ovest, puntando lo stretto passaggio tra Ibiza e Formentera. L’indomani, vista la bellissima giornata soleggiante, ci siamo fermati per pranzo a Cala Saona, Formentera. Qui abbiamo mangiato 4 teglie di pizza, sfruttando l’impasto che avevo preparato nei giorni precedenti.
Un meritato pisolino post pranzo, e siamo partiti per continuare il nostro viaggio verso la traversata oceanica. Abbiamo puntato verso un incredibile tramonto che si rifletteva sul mare appena increspato, quasi fosse un quadro di Van Gogh. Un momento che rimarrà indelebile nella mia memoria.
Da lì iniziava il lungo e stretto mare di Alboran, che ci avrebbe condotto fino alle Colonne di Ercole. Eravamo pronti a tutto. E infatti il giorno successivo la musica ha iniziato a cambiare: nuvole in cielo, vento e onda in aumento. Sembrava che il mondo intorno ci dicesse: “Benvenuti nel mare di Alboran!”. Per fortuna (grande fortuna!) vento e mare erano a favore: li avevamo di poppa e ci spingevano.
Una di quelle notti abbiamo registrato raffiche a più di 50 nodi, e abbiamo stimato onde oltre i 4 metri, probabilmente qualcuna ha raggiunto e superato i 5 metri. Ma sai, con le onde è sempre difficile stimare. Fatto sta che alcune erano davvero imponenti e riuscivano a salire l’alta poppa della barca fino ad allagare il pozzetto.
Con tre mani alla randa e genoa avvolto, abbiamo registrato velocità con punte a 14 nodi, planando su alcune di queste onde. All’inizio hai un po’ di timore, ma con il tempo ci si abitua a tutto e abbiamo iniziato a goderci quello spettacolo puro. Certo che se avessimo navigato con rotta opposta, con mare e onda in faccia, la storia sarebbe stata molto molto diversa.
In un momento di relativa calma, Alberto è andato verso prua a controllare l’attrezzatura. E indovina un po’? Avevamo un altro problema: si erano strappati i 6 rivetti che fissavano l’attacco del vang rigido sotto il boma. Impossibile sistemarlo in quel momento, ci avremmo pensato in porto a Gibilterra.
Il 20 novembre siamo arrivati a Gibilterra. La giornata è stata incredibile. La mattina abbiamo pescato la nostra prima lampuga (o el dorado, come è chiamata in sud America). In tarda mattinata abbiamo avvistato la mitica Rocca di Gibilterra, il promontorio caratteristico che di fatto è l’avamposto e porta di ingresso del Mar Mediterraneo. Inoltre vento e onda si sono magicamente calmati fino a scomparire quasi del tutto, lasciando un cielo velato.
Ogni tanto un raggio di sole riusciva a squarciare il denso strato di nubi e a penetrare fino a raggiungere la superficie del mare, regalandoci dei colori e dei riflessi surreali.
Ammainate le vele, lentamente ci siamo fatti strada a motore tra le tante navi all’ancora in attesa di entrare nel porto di Gibilterra.
Nel pomeriggio siamo entrati nel Marina di Alcaidesa a La Línea de la Concepción in territorio spagnolo. Di fatto non siamo andati nel porto di Gibilterra con la barca, perché avremmo dovuto espletare le pratiche di ingresso e di uscita (essendo territorio extra-UE dopo la Brexit) e, soprattutto, perché il porto spagnolo è decisamente più economico di quello della colonia inglese.
Alle 18.00 eravamo al nostro posto barca, subito dopo il tramonto e con la Rocca di Gibilterra lì di fronte a noi.
Avevamo concluso anche la seconda tappa, e questa volta eravamo a un passettino dal nostro sognato Oceano Atlantico.
Da Gibilterra alle Canarie
A Gibilterra siamo rimasti più del previsto. Ben 8 giorni, dal pomeriggio del 20 fino alla mattina del 28 novembre. Un po’ per necessità, visto che avevamo i soliti lavoretti da fare sulla barca, un po’ per rilassarci e un po’ per il meteo che, quando eravamo pronti per partire, si è messo contro di noi.
I lavori sulla barca ci hanno portato via un bel po’ di tempo, ma abbiamo avuto anche modo di goderci Gibilterra e di fare una bella escursione sulla Rocca. Da lì si godono panorami pazzeschi in compagnia delle scimmie, le vere padrone del promontorio.
Terminati i preparativi alla barca e rifocillata la cambusa di bordo, eravamo pronti per partire e tuffarci finalmente nell’Oceano Atlantico. Ma il meteo non era dalla nostra parte e abbiamo dovuto aspettare qualche giorno per avere la giusta finestra, che è arrivata il 28 novembre.
Le previsioni davano 10-15 nodi di vento da nord-nord-ovest (praticamente tramontana) che girava più a ovest per effetto dello stretto di Gibilterra. Un vento contrario rispetto alla nostra rotta, ma per lo meno non era prevista tanta onda, né corrente contraria. In più si prevedeva un bel sole.
Siamo usciti dal porto la mattina e con un freddo tagliente (3°C!) ci siamo fatti strada a motore tra le tante navi alla fonda nella baia di Gibilterra. Eravamo così tanto vestiti che sembrava di essere sulle piste da sci piuttosto che su una barca a vela. Con solo gli occhi scoperti, saltavamo nel tentativo di scaldarci un po’.
Più uscivamo dalla baia più il vento aumentava, così abbiamo issato le vele e spento il motore. Di fronte a noi la costa africana terminava in un lontano orizzonte dove l’azzurro del cielo incontrava il blu del mare. Per la prima volta vedevamo con i nostri occhi il tanto sognato Oceano Atlantico!
L’uscita dallo stretto di Gibilterra si è trasformata in una bellissima bolina con cielo terso e vento tra i 10 e 15 nodi, come da previsioni. Messe a segno le vele, la barca sbandata con la falchetta in acqua filava veloce e potente verso l’oceano aperto. Ho timonato tanto quel giorno, tutto era perfetto.
Subito dopo il tramonto, dopo aver guardato la posizione sugli strumenti, Alberto ci ha ufficialmente annunciato che eravamo usciti dal Mar Mediterraneo e che da quel momento eravamo nell’Oceano Atlantico! Inutile a dirsi, è scattato subito un bel brindisi in pozzetto!
Un altro traguardo per la nostra traversata Atlantica era stato raggiunto! Anzi, si poteva dire che la traversata Atlantica iniziava proprio in quel momento, dopo quasi 20 giorni dalla partenza da Roma.
Una delle prime notti navigavamo tranquillamente a vela, a circa 60 miglia dalla costa marocchina. In quella zona è risaputo che bisogna tenersi molto distanti dalla costa, perché i pescatori marocchini arrivano fino a 30-40 miglia a largo con dei barchini piccoli per stendere lunghissime reti superficiali, pericolosissime per qualsiasi tipo di barca. A un certo punto, mentre ero di turno insieme a Marco, ci siamo visti puntare una torcia da prua. Nel completo buio della notte non si capiva bene a che distanza era la luce, ma era vicina, molto vicina! Sicuramente a poche decine di metri da noi.
Abbiamo lascato immediatamente le vele e acceso il motore. Dopo una virata di 180° siamo tornati indietro per qualche minuto e abbiamo cercato di raggirare il barchino che ci ha puntato la luce e le reti che stavano posando. È seguita un’ora di tensione, in cui tutti eravamo di vedetta.
A parte questo episodio, la navigazione è proseguita abbastanza tranquilla. Ci siamo abituati alla tipica onda lunga oceanica, un vero e proprio respiro del mare.
Il vento era favorevole e negli ultimi giorni è aumentato. Con il vento al lasco abbiamo avuto modo di provare andature e manovre che avremmo poi adottato durante la traversata Atlantica. Abbiamo provato l’assetto a “farfalla”, con randa da una parte e genoa tenuto aperto dall’altra parte grazie al tangone. Ci siamo inoltre esercitati a prendere e togliere le mani di terzaroli alla randa con vento in poppa e abbiamo subito capito che su quella barca queste manovre erano particolarmente dure e complicate: l’alto attrito della randa sulle sartie e sulle crocette e i carrelli della randa che scorrevano male con randa completamente lascata rendevano difficile l’operazione. Provando e riprovando abbiamo trovato il nostro metodo, che poi abbiamo adottato in mezzo all’Oceano Atlantico.
Più ci avvicinavamo alle Canarie più la latitudine scendeva e più la temperatura dell’aria saliva. Era ora, dopo tutto il freddo preso dalla partenza da Roma!
La mattina del 2 dicembre abbiamo avvistato Lanzarote e poco dopo Fuerteventura, che si stagliava dietro più alta. La sera abbiamo iniziato a vedere le luci di Gran Canaria.
Era ancora buio quando siamo entrati nell’imboccatura del porto commerciale di Las Palmas di Gran Canaria. Ci siamo poi diretti verso il Porto de Las Palmas (il marina dove avremmo dovuto attraccare) e, all’alba del 3 dicembre, abbiamo dato fondo all’ancora nella rada subito a nord del marina.
Per festeggiare questo nuovo e importante traguardo abbiamo brindato con una bottiglia di Berlucchi e fatto colazione con 12 uova strapazzate e 2 confezioni di fagioli Beanz. Ovviamente accompagnati da pane tostato e da una lattina di birra a testa!
Il nostro benvenuto alle Canarie!
La sosta a Las Palmas di Gran Canaria
Siamo rimasti 11 giorni a Las Palmas di Gran Canaria, dal 3 al 14 dicembre. La sosta più lunga di tutto il viaggio.
Appena arrivati c’è stato un altro cambiamento nell’equipaggio. Claudio ci ha salutato perché doveva rientrare per il Natale. È stato sostituito da Andrea, che si è aggiunto all’equipaggio all’ultimo minuto e ci ha raggiunto a Las Palmas con l’aereo, carico di entusiasmo per l’imminente traversata Atlantica.
Negli 11 giorni trascorsi a Las Palmas, abbiamo avuto modo di visitare e scoprire alcune bellezze di quest’isola:
- il lungomare de La Playa de Las Canteras;
- i quartieri del Centro Antico Vegueta e Triana con i loro vicoli pieni di storia. Qui c’è la Casa de Colón, la casa-museo dove Cristoforo Colombo risiedeva prima delle sue traversate verso le Indie Occidentali;
- le Dunas de Maspalomas a sud dell’isola;
- il Mirador Pico de las Nieves, il punto più alto dell’isola a ben 1.949 metri sopra il livello del mare!
Oltre ai momenti di svago, abbiamo come al solito dedicato del tempo alla barca, sistemando nuove e vecchie avarie. Abbiamo inoltre controllato tutta l’attrezzatura in vista delle 3.000 miglia che avremmo dovuto affrontare per attraversare l’Oceano Atlantico.
A Las Palmas abbiamo conosciuto tante persone stupende, tra cui Ale e Noe, Federica e Marco, e il mitico Federico.
Ci sarebbe così tanto da dire di quei giorni a Gran Canaria, che servirebbe un articolo a parte!
Il 14 dicembre avevamo la cambusa ben stivata a bordo, avevamo fatto il tampone per il Covid necessario per l’ingresso a Martinica e Flavia aveva terminato il nostro murales che è usanza fare prima della partenza.
Eravamo pronti a mollare gli ormeggi verso la traversata oceanica!
La traversata Atlantica in barca a vela
Alle 16.40 del 14 dicembre 2021 abbiamo mollato gli ormeggi per la nostra tanto desiderata traversata oceanica.
Il sogno non era più sogno, era finalmente realtà.
Siamo usciti dal porto commerciale di Las Palmas ed eravamo consapevoli che la volta successiva che avremmo messo piede a terra sarebbe stato a Martinica, nei Caraibi. Un intero oceano ci separava dal nostro obiettivo.
Sapevamo di dover affrontare 3.000 miglia in mezzo al blu profondo, senza vedere terra per almeno due settimane. Presumibilmente non avremmo visto nemmeno barche o navi se non i primi e gli ultimi giorni della traversata.
Eravamo pronti per il tuffo nel grande blu dell’Oceano Atlantico.
I primi giorni in barca dopo un periodo di permanenza sulla terraferma sono sempre di assestamento. Per fortuna il meteo ci ha aiutato: la prima settimana abbiamo avuto leggere brezze di vento. In alcuni momenti il vento era completamente assente. È stato surreale vedere l’acqua dell’oceano perfettamente piatta, come fosse una lunga distesa di olio.
Ti accorgevi di essere in oceano solamente perché c’era sempre questo enorme e impercettibile respiro, questo lento e costante su e giù di onde molto lunghe e dolci. Sembrava un’enorme culla.
Nei momenti di totale assenza di vento, più per un fattore psicologico che per altro, siamo avanzati a secco di vele e con motore al minimo. Abbiamo anche navigato per ore e ore a vela, spinti da leggerissime brezze, a velocità intorno ai 2-2,5 nodi con vele che cadevano sotto il loro stesso peso, sbattute dal pigro rollio della barca.
Non avevamo fretta.
Dovevamo affrontare una traversata oceanica, non aveva senso forzare l’avanzamento a motore. Non tanto perché non avevamo l’autonomia di gasolio per arrivare dall’altro lato, ma perché non avrebbe avuto proprio senso. Eravamo lì per attraversare l’oceano Atlantico, non per stabilire un record di traversata. E abbiamo preso e gestito ciò che la Natura ci ha voluto dare.
Nei primi giorni di navigazione l’oceano ci ha regalato uno dei più bei tramonti che io abbia mai visto. Un rosso così acceso che terminava in mare con un giallo intensissimo. La foto che ho scattato quel giorno fa ancora da sfondo al mio smartphone.
Dopo quell’incredibile tramonto, di notte abbiamo pescato una leccia africana. Nel buio della notte è uscito fuori dall’acqua questo pesce nero, brutto, che sembrava salire dalle profondità più remote dell’oceano. Cotta sul barbecue è stata forse la carne di pesce più buona di tutta la traversata.
Nel primo tratto di navigazione abbiamo incontrato due imbarcazioni anomale: due barche a remi lunghe 4 metri. Su ognuna c’era un uomo, il primo americano, il secondo norvegese. Stavano partecipando a una regata per attraversare l’Oceano Atlantico a remi!
Da soli, su una barca a remi, in mezzo all’oceano!
Abbiamo pensato fossero pazzi e ci siamo resi conto che, al confronto, noi eravamo su una villa galleggiante.
Le giornate passavano, tutte uguali e allo stesso tempo tutte diverse. Più scendevamo verso l’equatore più avremmo dovuto trovare l’aliseo stabile che ci avrebbe trasportato dritti verso la meta. In realtà l’anno scorso, quando siamo partiti noi, l’aliseo è stato molto instabile e debole a causa di una forte perturbazione nel nord Atlantico che lo spingeva sempre più a sud.
Per tutta la traversata abbiamo rincorso l’aliseo, navigando su venti mediamente deboli e instabili e registrando al massimo 26-27 nodi durante uno squall (in oceano i groppi si chiamano così, e da un certo punto in poi sono molto frequenti e possono essere anche molto violenti).
In più la perturbazione a nord dell’Atlantico ci ha regalato per tutta la traversata una maledetta onda al traverso proveniente da nord. Sommata all’onda da est generata dal vento che sentivamo, si creava un’onda incrociata che, soprattutto l’ultima settimana, ci ha fatto rollare moltissimo.
Diciamo che il rollio nella parte finale è stata l’unica vera grande scocciatura dell’intera traversata.
Per il resto il solo essere lì in mezzo, a contemplare la potenza delle onde, di vedere delfini, balene, tartarughe, lampughe e una miriade di pesci volanti, non ha prezzo!
Ho passato ore e ore a contemplare l’infinito orizzonte blu, in silenzio o con musica in sottofondo. Si raggiunge uno stato di beata pace che è difficile descrivere.
Per il resto la vita andava avanti normalmente: di notte si facevano i turni, di giorno si cucinava, si mangiava, si leggeva, si ascoltava la musica, si guardavano film, si controllavano gli strumenti, si comunicava con la terraferma attraverso gli apparati satellitari, si prendeva il sole, si faceva il punto nave col sestante, si ripassava il carteggio, ci si rinfrescava con secchiate di acqua di mare, si lavavano e stendevano i panni, si pescava, e così via.
Controllavamo regolarmente l’attrezzatura della barca e, con il variare del vento in intensità e direzione, regolavamo o sostituivamo le vele.
Gli ultimi dieci giorni abbiamo dovuto ammainare la randa perché il pezzo che attaccava il vang rigido al boma, che già si era staccato strappando i rivetti, si era spezzato definitivamente. La randa di fatto sbatteva in continuazione, quindi abbiamo deciso di ammainarla per l’ultima volta. Abbiamo fatto le ultime 1.000 miglia solamente con genoa, trinchetta e gennaker.
Ogni sera, poco dopo il tramonto alle 18.00 e fino alla mattina alle 9.00 facevamo i turni di guardia: una persona era sempre in modalità ON, sveglia e vigile in pozzetto, pronta a intervenire in caso di anomalie o rumori strani, mentre una seconda persona era in modalità Stand-by, già vestita con giubbotto salvagente e cintura di sicurezza, pronta a intervenire in caso di necessità. Tutti gli altri, in modalità OFF, potevano dormire e riposare in cabina.
Ogni turno durava 3 ore e poi si passava nella modalità successiva: chi era ON diventava Stand-by, mentre chi era in Stand-by diventava OFF. Poteva spogliarsi e andare a dormire in cabina. Il successivo OFF si svegliava e diventava ON.
La sequenza dei turni era sempre la stessa: Alberto, io, Andrea, Marco, Flavia. Ogni giorno però si scalava al turno successivo, per evitare di coprire sempre gli stessi orari per tutto il viaggio.
Di giorno tutti erano liberi di fare ciò che volevano, bastava accertarsi che almeno una persona fosse fuori in pozzetto.
Per la cucina invece non ci sono mai stati turni o restrizioni. Chi voleva, cucinava.
- Marco era diventato praticamente il cuoco ufficiale di bordo: ragù, pollo (speziato e non), pasta, carne, verdure, uova, barbecue, ecc. Faceva di tutto e con gran gusto!
- Alberto gestiva il barbecue di carne e pesce insieme a Marco e ha fatto anche qualche bella pasta.
- Andrea era l’addetto alla pasta all’uovo: se avevamo voglia di una fettuccina espressa, Andrea si organizzava con farina e uova.
- Io insieme a Marco ero un tuttofare. Cucinavo di tutto, basta che se magnava!
- Flavia ha aiutato Alberto in un paio di paste, ma diciamo che era in vacanza e durante la traversata non si è espressa in cucina.
In ogni caso non ci siamo fatti mancare niente a tavola: dal pollo al curry e latte di cocco con riso basmati alla lasagna per il giorno di Natale. Alla faccia di chi pensa che in barca a vela in navigazione si mangiano solo cibi in scatola!
Eh sì, perché abbiamo trascorso sia il Natale che il Capodanno navigando in oceano.
E oltre a festeggiare il Natale, il 25 dicembre abbiamo brindato anche alla prima metà della nostra traversata Atlantica.
Il capodanno poi è stato molto divertente: non sapevamo quando effettivamente festeggiarlo. Mi spiego meglio. Quando navighi per tanto tempo attraverso tanti meridiani, cambi costantemente fuso orario (in media, ogni 4-5 giorni bisogna spostare le lancette dell’orologio).
Quindi, su che fuso potevamo festeggiare l’arrivo del nuovo anno?
Di comune accordo abbiamo deciso di brindare ai seguenti fusi orari, tanto per non sbagliarci:
- fuso orario dell’Italia, visto che eravamo tutti italiani, anche in onore dei nostri cari che sicuramente ci hanno dedicato un pensiero da casa;
- fuso orario di Greenwich;
- fuso orario in cui ci trovavamo noi.
Tra il penultimo e l’ultimo brindisi ci siamo sdraiati tutti sui cuscini della tuga. C’era una bella luna che illuminava quasi a giorno. Nonostante la luna, il cielo era pieno di stelle. Abbiamo messo sullo stereo di bordo Dark Side of the Moon dei Pink Floyd e lo abbiamo ascoltato a tutto volume. Cullati dal regolare rollio della barca e sotto un cielo incredibile, ci siamo catapultati in una dimensione parallela. Non potevamo chiedere di meglio!
Festeggiato anche il capodanno, le giornate passavano tra tramonti, albe e arcobaleni meravigliosi.
L’ultima settimana è stata la più faticosa. Non tanto per la noia, almeno da parte mia, ma per via del forte rollio generato dall’onda incrociata. Era una cosa insostenibile.
Non avevamo il mal di mare, oramai eravamo tutti abituati ai bruschi movimenti della barca. Il problema vero è che era difficile e molto faticoso fare qualsiasi cosa: dal cucinare, al lavarsi i denti, o semplicemente leggere un libro o dormire. Eri costantemente sballottato da una parte all’altra e non riuscivi mai a riposare veramente. Questo è ciò che più mi ha pesato.
Ma tutto sommato abbiamo tenuto duro e siamo andati avanti (e tanto che volevi fà lì in mezzo???).
Tanto per alleggerire la tensione, in quell’ultimo tratto l’aliseo arriva carico di umidità dalle coste africane e scarica tutta l’energia in violenti squall, che lì sono vere e proprie bombe d’acqua. Durano 10-15 minuti, ma scende giù una quantità di acqua incredibile in pochissimo tempo. Spesso il fenomeno è accompagnato da forte vento. In quei giorni ci siamo imbattuti fino a 5-6 squall in un giorno. Che gioia!
Il 5 gennaio abbiamo finalmente avvistato terra!!! Martinica era lì davanti a noi!
Marco è stato il primo ad avvistarla, a 22 miglia di distanza, e l’emozione è stata fortissima. Per giorni e giorni non abbiamo visto niente al di fuori di acqua e cielo. La “terra” l’abbiamo sempre e solo vista piccola e lontana sul nostro GPS di bordo. Se non ci fossero stati gli strumenti, a un certo punto avremmo dubitato che davanti alla nostra prua prima o poi avremmo incontrato qualcosa. E il pensiero va ai grandi esploratori di un tempo, come Magellano, Cook, Colombo, solo per citarne alcuni.
Ma la terra era proprio lì davanti a noi, dove indicavano gli strumenti ed era un fatto inconfutabile!
Mano a mano che andavamo avanti si faceva sempre più grande. La vedevamo alta sul mare e di un verde intenso. Poco più a sud, sulla nostra sinistra, appariva un’altra alta e verde isola: Santa Lucia.
Da nord arrivavano una barca a vela e un catamarano, probabilmente anche loro alla fine della traversata oceanica. Tutti puntavamo la punta sud di Martinica ed è come se ci fossimo dati un appuntamento ancestrale con le altre due barche.
Per trovare il meritato riparo dall’onda incalzante, dovevamo girare la punta sud di Martinica ed entrare nella profonda baia di Le Marin, nostra meta finale. Più ci avvicinavamo, più vedevamo stupende spiagge di sabbia dorata e palme sul mare. Non credevamo ai nostri occhi! Eravamo arrivati davvero ai Caraibi! Non poteva esserci visione più esplicita di quella!
Girata la punta, abbiamo avvolto il genoa per l’ultima volta e con motore acceso ci siamo diretti verso la baia super protetta di Le Marin. Non ho mai visto così tante barche a vela all’ancora in una baia! Migliaia di barche, di tutti i tipi e dimensioni, con bandiere da tutto il mondo.
In quel momento ho capito cosa significa essere cittadino del mondo.
Ci siamo fatti strada tra decine e decine di barche prima di trovare uno spazio dove ancorare. Alberto ha deciso di non addentrarsi troppo e ci siamo fermati di fronte al villaggio di Saint-Anne, dove tra l’altro c’è una spiaggia stupenda con palme e mangrovie che arrivano fino al mare.
Dopo aver dato fondo e provato la tenuta dell’ancora, abbiamo spento il motore e, increduli, ci siamo guardati intorno. Eravamo arrivati, avevamo fatto la nostra traversata Atlantica!
La gioia si mischiava con l’intensa emozione di quel momento. Poi abbiamo preso una bottiglia di spumante e abbiamo brindato al termine di quest’ultima tratta lunga 3.150 miglia e durata ben 22 giorni. Non è stato di certo un record, ma ti assicuro che ce la siamo goduta fino in fondo.
L’emozione è aumentata quando abbiamo realizzato di aver compiuto un’impresa ancora più grande. 56 giorni prima eravamo partiti da Roma e dopo 4.818 miglia siamo arrivati al Caribe in barca a vela!
Una mappa interattiva della traversata
Qui trovi una mappa interattiva di tutto il viaggio: ci sono le tappe, le miglia percorse e il diario di bordo. Sono tutti i messaggi che ho inviato con l’InReach mini e puoi vederli direttamente sulla mappa. Per leggerli clicca sui puntini rossi lungo la rotta.
In basso a sinistra ci sono i tasti per lo zoom, mentre se vuoi vederla a schermo intero devi cliccare in alto a destra.
Cosa ho imparato dalla mia prima traversata Atlantica
La mia prima traversata Atlantica mi ha lasciato un segno, un segno bello profondo.
È stata prima di tutto la realizzazione di un grande sogno, che da molto tempo avevo nel cassetto. Un sogno che hanno quasi tutti gli amanti del mare e della vela.
In questi anni ho letto molti libri di grandi navigatori e alcuni anche di navigatori meno grandi, diciamo “improvvisati”, che mi hanno in parte preparato a questo lungo viaggio. Se vuoi conoscere alcuni dei libri che ho letto, puoi guardare l’articolo sui nostri 10 libri di mare e di vela preferiti.
Ma la verità è che ogni esperienza è a sé. Ci sono centinaia di variabili che combinate tra loro determinano una buona o una cattiva esperienza. La barca, l’equipaggio, il meteo, le avarie, sono solo alcune. Io mi ritengo fortunato. Tirate le somme, l’insieme di queste variabili mi ha regalato un risultato bellissimo che porterò sempre nel mio ricordo.
Andando per mare da tanti anni ero preparato a gestire avarie e contrattempi che abbiamo avuto lungo la rotta verso i Caraibi. È una cosa che si deve sempre mettere in conto, soprattutto per un viaggio così lungo e con la terra lontana giorni e giorni per eventuali soccorsi.
Prima della partenza la barca va sistemata al meglio senza trascurare il minimo dettaglio, anche se sembra banale. Bisogna portarsi dietro tutto il necessario per sistemare e riparare la qualunque. Oltre a pezzi di ricambio, tanto materiale per vere e proprie riparazioni, come buoni attrezzi, ferramenta varia, nastri, resine, ecc.
Bisogna inoltre prepararsi al lungo periodo di solitudine in mezzo al nulla. Io ho navigato insieme a un equipaggio: per i 22 giorni impiegati nella traversata Atlantica eravamo in cinque, ero quindi in compagnia. Ciò nonostante, ci sono stati tanti lunghissimi momenti in cui mi sono sentito solo, lì in mezzo al grande blu. Sarà stato anche il fatto che per me quello era il viaggio più lungo lontano da casa, ma in quei momenti mi sono mancati i miei cari, i miei familiari e soprattutto la mia compagna Alice, con cui condivido la mia vita giorno e notte da quasi 14 anni.
C’è chi affronta la traversata Atlantica in solitaria. Lì ci sarebbero tante altre considerazioni da fare, sulla preparazione della barca e della mente, ma non potrei aiutarti più di tanto non avendo mai in prima persona vissuto una tratta così lunga da solo. Però posso dirti che se decidi di intraprendere un viaggio come questo in un equipaggio, devi essere preparato a condividere gli spazi della barca con altre persone per tanti giorni consecutivi.
Prima di imbarcarti ti consiglio di conoscere le persone che formeranno l’equipaggio e di capire se i vostri caratteri sono compatibili. Cercare la perfezione nell’equipaggio è pressoché impossibile (è questo uno dei motivi per cui molti decidono di navigare in solitario). Devi in ogni caso essere pronto o pronta a scendere a compromessi con gli altri, in modo che ognuno possa avere i propri spazi e i propri ritmi a bordo, e in modo che tutti possano godersi appieno la splendida avventura che stanno per condividere.
Poi ci sono altre considerazioni da fare. Una è sicuramente il tema dell’inquinamento e della plastica in oceano. Non ne ho parlato in questo articolo perché ho voluto trasmettere il più possibile il senso del puro viaggio, senza divagare in discussioni e riflessioni che meriterebbero un articolo a parte (arriverà anche questo, lo prometto).
Per ora sappi solamente che per tutta la traversata Oceanica, compreso il tratto nel Mediterraneo, abbiamo avvistato un’enorme quantità di rifiuti galleggianti, la maggior parte di plastica. È stato incredibile trovarli a più di 1.000 miglia dalla più vicina costa. Sono cose che fanno riflettere.
Se l’argomento ti interessa e vuoi sapere quando pubblicherò altri articoli che approfondiscono specifici aspetti o momenti della traversata Atlantica, compila il form qui sotto.
Vorrei concludere con qualche ringraziamento.
Prima di tutto vorrei ringraziare Alberto. Senza di lui questo viaggio non ci sarebbe stato, e il sogno sarebbe rimasto ancora chiuso nel cassetto. Ringrazio l’armatore della barca che mi ha permesso di vivere questa avventura. Ringrazio tutta la ciurma con cui ho condiviso tantissime miglia e tantissimi momenti, molti dei quali intensissimi. In particolare ringrazio Marco, che mi ha sollevato anche nei momenti un po’ meno felici, e con cui ci siamo sostenuti reciprocamente dal primo all’ultimo giorno.
Ringrazio tutte le persone a terra che mi hanno sostenuto prima della partenza. E tutte quelle che, durante il viaggio, da terra hanno inviato un semplice messaggio di saluto oppure dettagliate previsioni meteo, e quelle che semplicemente hanno seguito il viaggio sulle nostre pagine social. Ringrazio anche tutte le belle persone conosciute nelle varie soste lungo il percorso.
Ringraziamenti speciali vanno alla mia famiglia, che mi ha supportato senza esitare, anche se mia madre stava per svenire quando gliel’ho detto la prima volta! Infine, un ringraziamento speciale va alla mia cara dolce metà Alice. Oltre a supportarmi per tutto il tempo, mi è stata sempre vicino, sia prima della partenza che durante il viaggio. Era l’unica persona che sentivo quotidianamente attraverso i sistemi di comunicazione satellitare. Ho sempre sentito la sua vicinanza, anche a migliaia di miglia di distanza. E ha raccontato la mia traversata Atlantica a tutte le persone che ci hanno seguito su Instagram e su Facebook, condividendo le informazioni che le mandavo.
Grazie amore mio, spero che la prossima volta questa esperienza la condivideremo a bordo della nostra Mina Vagante 2.
Spoiler: questo è il mio prossimo sogno nel cassetto! 🙂
Da Roma a Martinica in meno di 8 minuti: il video completo del viaggio
Se vuoi rivedere tutto il viaggio in meno di 8 minuti, qui trovi il video che ho girato durante quest’avventura: metti le cuffie, alza il volume e sali a bordo con me!
Maurizio Lamorgese
Sapete cosa sarebbe bello? Un viaggio con Noi a bordo. Un equipaggio di amici marinai, armatori, Mina Vagante, MariaCristina, il Guerriero, MASQUENADA, e altri ancora… ecco, sarebbe davvero un gran bel viaggio… un gran bel sogno …
Alice&Andrea
Si, sarebbe bello navigare tutti insieme puntando Ovest ⛵ 🌅