Prepararsi per la traversata Atlantica: ti racconto la mia esperienza
Vorresti mollare gli ormeggi per attraversare l’Oceano? In questo articolo ti racconto la mia esperienza su come prepararsi per la traversata Atlantica.
Quando si pensa ad attraversare l’oceano, di solito nella mente delle persone c’è l’immagine romantica della barca a vela che solca dolcemente le onde spinta dal vento mentre punta un meraviglioso orizzonte. E tu sei lì al timone a goderti quel momento intenso e profondo. Oppure qualcosa di simile.
Spesso è così, e sinceramente auguro che sia così a chiunque si imbarchi in questa avventura.
Ma la realtà a volte è diversa dall’immaginazione o da ciò che uno vorrebbe vivere.
La realtà è che in mezzo all’oceano si è soli, lontani da tutto e da tutti. Non ci sono autogrill o piazzole dove accostare con le quattro frecce per aspettare il carro attrezzi. Si può contare solamente sulla propria barca, vera e propria isola galleggiante, sulle proprie capacità e su quelle dei compagni di viaggio, a meno che non affronti questa avventura in solitaria.
Prepararsi per la traversata Atlantica richiede quindi qualche riflessione: la sistemazione della barca, la formazione e la preparazione dell’equipaggio, le scelta delle cose da portare con sé sono a mio avviso aspetti da non trascurare prima di mollare gli ormeggi.
Non ho la presunzione di scrivere un manuale da seguire per prepararsi per la traversata oceanica. Voglio solo condividere la mia esperienza: come abbiamo preparato la barca con cui siamo partiti, come preparerei la mia barca se dovessi partire con Mina Vagante 2, quali aspetti considerare se si vuole far parte di un equipaggio per la traversata Atlantica e come mi sono preparato io per questa avventura.
Spero che il racconto della mia esperienza ti sia utile se stai pensando anche tu di attraversare l’Oceano in barca a vela.
INDICE DEI CONTENUTI
- Che barca serve per attraversare l’Oceano e come prepararla
- Quando partire per la traversata Atlantica
- L’equipaggio per una traversata oceanica: quali aspetti considerare
- Come mi sono preparato e cosa ho messo nella borsa per affrontare 5.000 miglia in barca a vela
- Come trovare un imbarco per la traversata Atlantica
Che barca serve per attraversare l’Oceano e come prepararla
La prima domanda che potrebbe venirti in mente se stai pensando alla traversata Atlantica è: che barca serve per attraversare l’Oceano?
Non c’è una risposta assoluta: quando abbiamo ormeggiato a Martinica ho visto barche di tutti i tipi arrivare ai Caraibi dopo aver attraversato l’Oceano. Qualsiasi sia la barca, è però importante prepararla affinché sia pronta ad affrontare una navigazione così lunga e impegnativa.
Io ho fatto la mia prima traversata Atlantica a bordo di un Beneteau Oceanis 60 del 2018. Una barca a vela di 18 metri, armata a sloop, con ampi spazi interni ed esterni, tre cabine matrimoniali ognuna con bagno e una cabina marinaio a prua che abbiamo usato come cala vele e magazzino. Una barca con ampi spazi interni ed esterni, dotata di molti comfort: generatore elettrico, dissalatore, splitter a inverter in ogni cabina per aria condizionata in estate e aria calda in inverno, tre frigoriferi di cui due con congelatore, lavasciuga, etc.
Comfort e comodità sono aspetti sicuramente importanti da tenere in considerazione quando si sta in barca, soprattutto con altre persone a bordo. Ma noi non stavamo partendo per una tranquilla crociera estiva di una o due settimane. Dovevamo affrontare circa 5.000 miglia di cui più dei due terzi in pieno Oceano Atlantico.
Anche in molte tratte del Mediterraneo saremmo stati lontani da terra e dai soccorsi per la maggior parte del tempo. La barca rappresentava la nostra sicurezza, e per questo prima della partenza bisognava accertarsi che ogni cosa a bordo funzionasse correttamente.
Si dice che per una traversata Atlantica la barca si usuri come in cinque anni di normali crociere estive in Mediterraneo. Quindi capisci bene quanto fosse importante mettere la barca in condizione di affrontare questo lungo viaggio in sicurezza.
Nei primi giorni di settembre del 2021 la barca è stata alata in un cantiere a Fiumara Grande (Fiumicino, provincia di Roma) con una lunga lista di lavori e controlli da fare. Molti sono stati eseguiti dal cantiere. Altri, e soprattutto gran parte dei controlli, li abbiamo fatti noi dell’equipaggio.
La sosta in cantiere è durata più di un mese e in questo periodo Alberto, il comandante, ha supervisionato tutti i lavori per conto dell’armatore che non poteva essere presente. Noi membri dell’equipaggio (oltre a me, Flavia, Marco e Claudio) gli abbiamo dato una mano. Ognuno seguiva un lavoro e, tutti insieme, abbiamo controllato davvero tutta la barca, dalle sentine all’ultimo bozzello in coperta.
È questo il miglior modo per conoscere una barca: metterci le mani; aprire tutti gli stipetti e i paioli; capire dove sono le attrezzature; dove passano tubi, fili, impianti; dove sono gli interruttori; dove trovare un attrezzo e dove poter intervenire in caso di necessità.
Noi dell’equipaggio abbiamo fatto lavori di secondaria importanza come sistemare uno sportello che non si chiudeva bene, cambiare una lampadina fulminata, lavare e ammorbidire le cime delle manovre, revisionare i winch, pulire e lubrificare i bozzelli, pulire le sentine e i serbatoi, controllare e revisionare le autoclavi e i maceratori dei bagni elettrici, e così via.
Dovevamo poi recuperare le decine di pacchi che arrivavano più o meno tutti i giorni con i corrieri. Erano le numerose dotazioni e accessori che l’armatore, insieme ad Alberto e Flavia, aveva deciso di aggiungere prima della partenza. Noi prendevamo i pacchi, li scartavamo, capivamo cosa contenevano e li depennavamo dalla lunga lista delle cose che sarebbero dovute arrivare.
In più, non scontato, dovevamo trovargli una sistemazione a bordo! Puoi immaginare che confusione poteva esserci in barca in quei giorni!
I lavori più importanti e impegnativi sono stati fatti dal cantiere o da professionisti esterni sotto la supervisione di Alberto. Tra questi: la riparazione della pala del timone a seguito di un piccolo urto che aveva subito; la verifica dell’intera timoneria; il rinforzo del rollbar (un arco in vetroresina su cui agisce l’intera forza della randa); l’installazione dei pannelli solari e dell’idrogeneratore; la sostituzione delle batterie di servizio; il controllo e la regolazione dell’albero; il controllo delle vele già in dotazione (randa full batten a cui è stata aggiunta la terza mano di terzaroli, genoa avvolgibile, fiocco avvolgibile con stecche verticali, Code 0 avvolgibile su rollgen idraulico); l’installazione dello strallo di trinchetta; la sostituzione di alcune drizze e scotte; il rinforzo della drizza randa e fiocco con una calza in dyneema in corrispondenza delle pulegge di uscita sull’albero in modo da limitarne il logorio; la sostituzione del vang rigido; il tagliando al motore e al generatore, e tanto altro ancora.
Oltre a tutto questo sono state realizzate due vele nuove: un gennaker e una trinchetta.
Il gennaker era un grande S1 dalla spalla pronunciata, alta e potente, da murare sulla delfiniera strutturale della barca e da usare in mezzo all’Atlantico spinti dagli alisei. Grazie alla calza, si poteva maneggiare la grande superficie velica in modo più agevole durante l’issata e l’ammainata.
La trinchetta era pensata per le condizioni dure che avremmo incontrato per uscire dal Mediterraneo. Per questo il tessuto era molto pesante ed è stata predisposta con due mani di terzaroli. La trichetta era dotata anche di una speciale sacca a “pipa” che ci ha permesso di tenerla sempre piegata a prua, ingarrocciata sul suo strallo e pronta a essere issata.
Sono stati aggiornati e aggiunti alcuni strumenti per controllare la navigazione, come un comodo display multifunzione installato in zona carteggio per monitorare dati e parametri della barca anche da sotto coperta. È stato implementato anche il sistema di controllo sulla carica delle batterie.
Inoltre sono state controllate e aggiornate le dotazioni di sicurezza (estintori, coperta antifiamma, razzi di segnalazione), controllati e revisionati i giubbotti autogonfiabili, revisionata la zattera di salvataggio, installate le safety line, ovvero linee di sicurezza a cui potevamo attaccarci attraverso una cintura con doppio moschettone, in pozzetto e lungo i passa avanti della barca fino a prua.
Infine sono stati aggiunti un visore notturno a infrarossi (una figata!), l’EPIRB, ovvero una radio-boa satellitare da azionare in caso di emergenza, e il sistema di comunicazione satellitare Iridium GO tramite cui potevamo ricevere e inviare telefonate ed e-mail, scaricare previsioni metereologiche e inviare una chiamata di soccorso.
Anche la cassetta del pronto soccorso è stata integrata. Sono stati aggiunti antibiotici, antidolorifici, cortisonici, pomate, garze, guanti, disinfettanti e chi più ne ha più ne metta. Ovviamente anche pasticche contro il mal di mare. Per sapere di più su questo tema puoi leggere anche l’articolo dedicato ai rimedi naturali per il mal di mare.
Gli ultimi giorni sono stati deliranti. La barca era di nuovo in acqua e a bordo c’erano gli operai del cantiere e i professionisti intenti a chiudere i diversi lavori, mentre noi correvamo da una parte all’altra per pulire e chiudere stipetti, gavoni e paioli che venivano abbandonati a loro stessi a termine di una lavorazione.
Dovevamo poi trovare il posto a tutte le cose che ci siamo portati dietro. Pezzi di ricambio, attrezzi, attrezzatura, ferramenta, dispositivi, cime, pezzi di cime, siliconi, resine, stucchi, spray sbloccanti e tutto quello che poteva venirci in mente per affrontare una qualsiasi avaria in alto mare.
Poi c’era da stivare anche tutta l’attrezzatura da charter. Sì perché una volta a Martinica, la barca avrebbe dovuto lavorare per l’intera stagione estiva caraibica. Quindi eravamo sommersi anche da servizi di piatti, bicchieri, tazze, tazzine, tovaglie, tovagliette e elettrodomestici come macchina del pane, macchina del ghiaccio, bollitore, tostapane, e tanto altro ancora.
Considera poi che in barca non esiste che una cosa la appoggi lì, sotto il tavolo, così non si vede e non dà fastidio. No! Ogni cosa deve essere fermamente bloccata, altrimenti con lo sbandamento, il rollio e il beccheggio può letteralmente volare da una parte all’altra della barca. Può rompersi, danneggiare parti della barca o altre cose su cui va a schiantarsi oppure, se ti trovi sulla sua traiettoria, può colpirti e farti molto male.
Proprio sotto al tavolo, per esempio, abbiamo realizzato una sorta di rete contenitiva. Abbiamo passato un cordino più volte avanti e indietro fino a formare una specie di barriera. Abbiamo riempito questo spazio di scatole e cassette della frutta incastrate tra loro per non farle scorrazzare libere in giro per la barca.
Essendo abituato alla mia barca, Mina Vagante 2, di 12 metri, all’inizio pensavo che un Beneteau Oceanis 60 fosse una barca molto grande. Ma quando ho visto tutta quella roba ho iniziato a temere che anche una barca da 18 metri fosse in realtà piccola! Alla fine, grazie alla magia di Flavia, tutte le cose hanno trovato un loro posto.
Avevamo anche una tabella che indicava il posto dove si trovava ciascuna cosa. Quindi se cercavi qualcosa e non ti ricordavi dov’era, bastava consultare la tabella o… chiedere a Flavia, che si ricordava tutto a memoria!
Insomma, di lavoro ce n’è stato tanto. Sicuramente ho dimenticato molte cose, ma quello che vorrei trasmetterti è che non bisogna prendere alla leggera un viaggio del genere e che bisogna partire con la barca preparata al meglio. Soprattutto perché una volta che si è lì in mezzo all’Oceano, si può contare solo su se stessi e, se ci sono, sulle altre persone a bordo.
Come preparerei la mia barca, Mina Vagante 2, per affrontare la traversata oceanica
Se hai già letto l’articolo in cui racconto la mia prima traversata Atlantica, saprai che il mio prossimo sogno nel cassetto è di rifare la traversata con la mia compagna Alice sulla nostra barca, Mina Vagante 2.
Sognare costa poco, così ho iniziato a ragionare sullo stato attuale della barca, su cosa andrebbe controllato e revisionato, cosa cambiato e cosa aggiunto ex novo per fare questo viaggio in sicurezza e con i giusti comfort.
Partiamo dallo stato attuale di Mina Vagante 2.
Innanzitutto, se non la conosci già, Mina Vagante 2 è un Beneteau Oceanis 411 clipper del 2001, versione quattro cabine e due bagni. È lunga poco più di 12 metri ed è armata a sloop, ovvero con randa e genoa.
È una barca più piccola di quella con cui sono partito per la traversata Atlantica. Quella era un 60 piedi (18 metri), mentre la nostra è un 41 piedi (12 metri). Con i suoi 22 anni di età è anche decisamente più vecchiotta. È tuttavia un progetto dello studio del grande Finot ed è il modello di serie più venduto al mondo. Tutt’oggi ha delle linee d’acqua che nulla hanno da invidiare a barche più giovani di lei.
È un modello più che testato in oltre 20 anni e ancora oggi ce ne sono tantissime che vagabondano tranquillamente in giro per il mondo. Io stesso ho visto decine di gemelline di Mina Vagante 2 beatamente ancorate nell’immensa baia di Le Marin a Martinica. E pensare che già sognavo di portarla lì…
L’Oceanis 411 è quindi un modello già ben testato e rodato per affrontare navigazioni d’altura lunghe e impegnative. Le numerose barche sparse intorno al mondo ne sono la prova inconfutabile.
Ora parliamo nello specifico di Mina Vagante 2 e di ciò di cui avrebbe bisogno affinché mi sentissi sicuro ad affrontare questo lungo viaggio insieme a lei.
Da quando l’abbiamo acquistata, nel 2018, abbiamo fatto tantissimi lavori. Era evidente che il precedente armatore non le volesse molto bene e l’abbia trascurata un bel po’.
Tra i principali lavori che abbiamo eseguito fino ad oggi ci sono:
- sostituzione del sartiame
- revisione dell’albero e del boma, con sostituzione di tutte le pulegge, dei cavi elettrici e di diversi componenti delle crocette e del boma (l’ultima che abbiamo sostituito è la trozza del boma)
- sostituzione di tutte le manovre correnti, molte delle quali sostituite con cime in dyneema
- sostituzione di tutti gli strumenti con dispositivi Garmin di nuova generazione (chart plotter, pilota automatico, radio VHF-DSC, AIS attivo, sensore del vento, log, ecoscandaglio, sensore temperatura acqua)
- revisione della timoneria, con reincollaggio della boccola superiore e sostituzione dei frenelli;
- revisione del pistone idraulico del pilota automatico
- nuova randa, di tipo full batten, con tre mani di terzaroli
- revisione del genoa e rifacimento della banda anti UV
- sostituzione del rollafiocco con il Bamar C2
- sostituzione del motore con il nuovo Yanmar 4JH57, di tipo common rail
- sostituzione dei passauomo e degli oblò laterali
- sostituzione di tutte le prese a mare
- carena portata a gelcoat (a “zero”) e nuova antivegetativa con Coppercoat
- riscaldamento a gasolio Webasto centralizzato in tutte le cabine
- rifacimento della cuscineria interna della dinette e dei materassi delle cabine
- rifacimento delle tappezzerie esterne (spray hood, bimini, easy bag, cuscini del pozzetto, e diverse borse e sacche per sistemare le cime, saponi, creme solari, etc)
- sostituzione del teak delle panche e della plancetta con sughero Marine Cork
- riverniciatura con anti skid del pozzetto
- sostituzione di tutte le luci con luci a LED (interne e esterne)
- sostituzione del motore del frigorifero
- sostituzione delle batterie dei servizi con un pacco batteria LiFePo4 da 400Ah e relativo aggiornamento e adeguamento dell’impianto 12V di bordo
- installazione di 2 pannelli fotovoltaici da 100Wp l’uno
- sostituzione dell’alternatore con un alternatore di potenza Balmar da 165A con regolatore di carica esterno programmabile e adatto alla ricarica di batterie LiFePo4
Wow! È venuta fuori una lista bella lunga! Sinceramente non me l’aspettavo. Sono rimasto sorpreso anche io!
Bisogna anche considerare che nel 2019 siamo passati alla bandiera UK commerciale, il che vuol dire che per superare la visita di ispezione rigidissima, in confronto alla quale la visita di sicurezza italiana fa ridere, abbiamo dovuto adeguare la barca per renderla conforme alla normativa inglese.
Abbiamo apportato diverse migliorie in termini di sicurezza, aggiungendo o sostituendo tanti dispositivi, come:
- zattera Eurovinil 10 posti senza limite dalla costa (ISO 9650-1 Solas Pack B)
- 12x salvagenti autogonfiabili con luce strobo e cintura di sicurezza
- 2x salvagenti anulari (uno con luce strobo, uno con cima galleggiante)
- danbuoy con bandiera “Oscar” e luce strobo
- razzi di segnalazione (in numero maggiore rispetto a quanto previsto dalla bandiera italiana)
- randa con tre mani di terzaroli
- tormentina di colore rosso da armare intorno al genoa rollato
- ancora di rispetto Danforth 20 kg con 10 metri di catena 8 mm e 40 metri di cima
- smoke detector nelle cabine
- gas detector nella dinette
- procedura scritta, in italiano e in inglese, della chiamata di emergenza (distress call) vicino al VHF
- procedura scritta, in italiano e in inglese, da seguire in caso di fuga di gas
- e tanto altro ancora…
Quindi, ricapitolando, una buona anzi buonissima base di partenza c’è. Ma ci sono comunque una serie di migliorie che mi sentirei in dovere di apportare prima di mollare gli ormeggi per un viaggio lungo e impegnativo come può essere una traversata Atlantica. Alcune riguardano la sicurezza nuda e cruda, altre invece riguardano il comfort a bordo, che a lungo andare può incidere positivamente sull’equipaggio.
Vediamo cosa si potrebbe migliorare sulla nostra Mina Vagante 2.
Migliorie per la sicurezza
- aggiungere l’EPIRB, radio-boa satellitare da azionare in caso di emergenza
- aggiungere il radar, per controllare/monitorare i sistemi nuvolosi circostanti (compresi i groppi o gli squall come si chiamano in oceano, che possono essere molto violenti e pericolosi), le navi e, perché no, anche la terraferma
- aggiornare le carte nautiche delle isole caraibiche
- aggiungere una pala di timone di rispetto, da montare sullo specchio di poppa, nel malaugurato caso in cui si urtasse qualche oggetto galleggiante e si perdesse la pala del timone della barca
- dotarsi di una trinchetta con due mani di terzaroli, una vela che serve ad affrontare condizioni dure di mare e vento contrari, in cui ci si potrebbe imbattere nella prima tratta del Mediterraneo. Dovrebbe avere la sacca a “pipa”, come quella che avevamo sull’Oceanis 60, in modo che sia pronta a essere issata
- aggiungere lo strallo di trinchetta, necessario per armare la trinchetta, rigorosamente in tessile, in modo da poter essere riposta a riposo lungo l’albero quando la trinchetta viene disarmata
- installare un freno per il boma, per evitare che la randa passi violentemente da un lato all’altro in caso di abbattuta involontaria (strambata)
- aggiungere le safety line in pozzetto e sui lati della barca fino a prua, per assicurarsi con la cintura e spostarsi in sicurezza lungo la barca
- (opzionale) prendere un sistema satellitare di comunicazione come l’Iridium GO o lo Starlink, considerando che ho già il Garmin InReach mini che ho usato tantissimo durante la mia prima traversata Atlantica
Migliorie per il comfort
- aggiungere il dissalatore, ovvero quel congegno che preleva l’acqua di mare, la filtra e la rende pulita e, volendo, anche potabile. In tal modo non saremmo vincolati alla limitata quantità di acqua dolce a bordo. Anche perché i serbatoi di acqua di Mina Vagante 2 portano 550 litri, che non sono molti considerando almeno tre settimane di traversata
- sostituire l’inverter attuale con uno da 1500/2000 Watt e collegarlo all’impianto 220 della barca, in modo da poter scaldare l’acqua del boiler senza dover accendere il motore e da usare utensili e dispositivi elettrici che si userebbero anche a casa (caricabatterie di PC, bollitore dell’acqua, tostapane, ma anche caricabatterie per attrezzi come trapano/avvitatore, frullino, etc.)
- raddoppiare i pannelli fotovoltaici e aggiungere una o due pale eoliche per alimentare questi dispositivi aggiuntivi
- realizzare un rollbar a poppa con duplice funzione: ospitare i nuovi moduli fotovoltaici e le pale eoliche, e appenderci il tender da 3,10 metri con chiglia fissa in alluminio. Attualmente lo teniamo capovolto in coperta a prua, ma vorrei tenere libera la prua sia per poterla utilizzare in caso di bel tempo, sia per lasciare una visuale più libera da poppa (e quindi in parte ricade anche questo su tema sicurezza). Inoltre ci installerei anche una seconda antenna VHF di emergenza, le due antenne GPS che attualmente sono sotto coperta (una dell’AIS e una degli strumenti di bordo) e anche i due salvagenti anulari e la danbuoy che attualmente occupano tutto il pulpito di poppa del lato destro. Al loro posto sul pulpito ci metterei la zattera autogonfiabile con il suo supporto così da averla più a portata di mano (vorrei vedere qualcuno prendere quel valigione super pesante da dentro il gavone in caso di necessità!) e per liberare prezioso spazio nel gavone
- dotare Mina Vagante 2 di un bel gennaker, da utilizzare in negli alisei in mezzo all’oceano Atlantico
- studiare un modo di aggiungere una ghiacciaia dentro l’enorme frigorifero che abbiamo a bordo (per conservare meglio i grandi pesci che pescheremo!)
Non ti aspettavi una lista di cose da fare così lunga eh? Sinceramente, nemmeno io! Come vedi sono tutte cose finalizzate alla sicurezza e al comfort.
Ovviamente niente è necessario. E la storia è piena di persone che sono partite e arrivate all’altro lato dell’oceano senza troppi problemi con barche decisamente meno equipaggiate rispetto allo stato attuale della nostra barca.
Ma il giorno che Alice ed io molleremo gli ormeggi con la nostra barca, vorrò senz’altro sapere di poter contare su di lei e sulle sue capacità marine e vorrò essere certo che tutta l’attrezzatura sia in buono stato e operativa al 100%.
Nel nostro “piccolo” con Mina Vagante 2 abbiamo già navigato 5 anni coprendo più o meno 8.000 miglia nel Mediterraneo. Sulla nostra rotta abbiamo incontrato diverse situazioni avverse, e non mi ha mai dato motivo di dubitare di lei.
Quando partire per la traversata Atlantica
Il periodo migliore per attraversare l’Oceano Atlantico da est verso ovest, cioè dalle Canarie ai Caraibi, va da fine ottobre a fine febbraio. La stagione degli uragani è terminata e gli alisei sono generalmente stabili, assicurando una buona pressione di vento da latitudini poco inferiori alle Canarie.
La maggior parte delle barche parte proprio a fine novembre, per due motivi:
- si arriverebbe ai Caraibi verso metà dicembre, così da sfruttare le festività natalizie e festeggiare Natale, Capodanno e Befana in costume e con un bel cocktail in mano, sotto una palma in una spiaggia dorata caraibica;
- a fine novembre parte la famosa ARC, ovvero l’Atlantic Rally for Cruiser, un bellissimo modo per attraversare l’Oceano Atlantico in flottiglia, utile soprattutto per chi ha poca esperienza di navigazione oceanica.
Attraversare l’Oceano Atlantico in flottiglia: l’Atlantic Rally for Cruiser (ARC)
L’ARC è un “rally” nato nel 1986 dalla mente di Jimmy Cornell che la pensò come un trasferimento in flottiglia per tutte le barche che dovevano attraversare l’Atlantico.
Fin dalla prima edizione, è diventata una sorta di appuntamento per partire insieme ad altre decine di barche e non sentirsi troppo soli durante la traversata oceanica. Oggi lo spirito è lo stesso di quello del 1986: sulla linea di partenza ci sono barche di ogni genere, equipaggiate in tantissimi modi, con equipaggi di tutti i tipi (anche famiglie con bambini).
Ci sono anche barche più sportive, che partecipano alla ARC in quanto competizione, ma hanno le proprie classi di regata e la propria classifica.
Anche se lo spirito di base non è cambiato nel tempo, è cambiata invece l’organizzazione dell’evento, che dà molto peso alla sicurezza durante la navigazione. Diverse barche partono per prestare assistenza e soccorso ai partecipanti durante il tragitto e tutte le barche che si iscrivono devono essere conformi agli standard di sicurezza richiesti dal comitato organizzatore.
Inoltre, prima della partenza, vengono organizzati diversi corsi e incontri sulla sicurezza. E durante la navigazione tutte le barche sono costantemente in contatto con gli organizzatori a terra.
Proprio per questo, la ARC è un ottimo modo per affrontare una navigazione impegnativa come la traversata Atlantica, soprattutto se non si ha tanta esperienza con navigazioni simili.
Il percorso originale va da Las Palmas di Gran Canaria a Santa Lucia (Caraibi).
Per completezza ti dico che ci sono anche altre varianti della ARC, come la ARC+, che parte qualche giorno prima della ARC ma si ferma a Capoverde; la ARC January, che fa lo stesso percorso della ARC ma parte a gennaio; la World ARC che propone il giro del mondo a tappe, ma questa è tutt’altra storia…
Dopo aver visto come preparare la barca e quando partire per la traversata Atlantica in barca a vela, affrontiamo ora un altro tema importantissimo: l’equipaggio.
L’equipaggio per una traversata oceanica: quali aspetti considerare
Per come la vedo io, l’equipaggio è un altro elemento importante da tenere in considerazione in vista di una traversata Atlantica. E sebbene molti amanti del mare e della vela abbiano nel proprio cassetto questo sogno, ti dico subito che a mio avviso una traversata oceanica non è un’esperienza adatta a tutti.
Non si va in mezzo all’Oceano con l’idea di passare qualche giorno in relax su una barca a vela, come in una crociera estiva, dove le giornate sono scandite da bagni, letture, riposini, belle mangiate e bevute. Certo, ci sarà il tempo anche per questo (tuffi a parte!). Ma chi affronta una traversata oceanica lo fa perché vuole vivere un’esperienza intensa, in mezzo alla Natura e lontano da tutti, mettendo in gioco se stesso sotto diversi punti di vista, tra cui la resistenza fisica e, soprattutto, quella mentale.
Bisogna tenere in considerazione diversi aspetti prima di decidere di affrontare questo tipo di avventura.
Per prima cosa c’è il fattore “tempo”.
Il fattore tempo: quanto ci vuole per fare la traversata Atlantica
Il tempo necessario per attraversare l’Oceano Atlantico in barca a vela varia a seconda del tipo di imbarcazione e delle condizioni meteo che si trovano durante il percorso. Con una barca a vela dai 12 ai 18 metri ci possono volere tra le due e le tre settimane per la traversata dalle Canarie ai Caraibi, a seconda delle condizioni meteo.
Se però vuoi partire da “casa”, ovvero dall’Italia o da un altro porto nel Mediterraneo, devi considerare anche il tempo necessario per arrivare alle Canarie. In base al porto di partenza può variare di qualche giorno, ma è il tipo di navigazione a fare la differenza: una rotta diretta, oppure una rotta che prevede una o più soste?
La rotta che si intende fare per arrivare alle Canarie viene decisa prima della partenza, ma poi bisogna tener conto degli imprevisti di natura tecnica, come avarie e rotture, e di quelli di natura meteorologica.
Per fare la traversata Atlantica noi siamo partiti da Fiumicino (Roma) e abbiamo impiegato circa un mese per arrivare a Las Palmas di Gran Canaria. Lungo la rotta abbiamo fatto diverse soste: alcune tecniche, altre di piacere, altre ancora per entrambi i motivi.
Se vuoi conoscere tutte le tappe che abbiamo fatto da Fiumicino a Martinica puoi leggere l’articolo con il racconto completo della traversata Atlantica in barca a vela.
Si può scegliere di fare solamente la traversata Atlantica partendo dalle Canarie, sia per questioni di tempo, sia perché attraversare e uscire dal Mediterraneo tra ottobre e dicembre può senza dubbio risultare molto faticoso a livello di navigazione.
Partendo dalle Canarie è bene ricordare che non ci sono terre emerse lungo la rotta, a parte le isole di Capo Verde. In ogni caso dopo Capo Verde c’è solo tanto Oceano e tante miglia da percorrere prima di avvistare e raggiungere la prima terra emersa.
Se si fa rotta diretta dalle Canarie ai Caraibi generalmente ci vogliono tra i 16 e i 25 giorni di navigazione. Se si fa uno stop a Capo Verde si possono togliere tra i 5 e i 7 giorni di navigazione.
Bisogna quindi essere consapevoli che una volta partiti non c’è più modo di tornare indietro (se non nelle primissime ore di navigazione). Una volta entrati nell’aliseo, il vento e le onde oceaniche iniziano a spingere verso ovest e tentare di tornare indietro diventa un’utopia.
Chi decide di fare questo grande salto, deve essere consapevole che rimarrà isolato sulla barca insieme al suo equipaggio, per tutto il tempo necessario alla traversata Atlantica.
La lontananza dalla terraferma: libertà o disagio?
La “lontananza dalla terraferma” è un altro aspetto. Anzi, è per certi versi l’aspetto primario che andrebbe considerato.
Navigare su una barca a vela, senza terra in vista per giorni e giorni, per molti è sinonimo di libertà e di benessere in generale. Per altri invece la lontananza dalla terraferma può generare sensazioni diametralmente opposte.
La consapevolezza di essere lontani da tutti e da tutto, di rimanere esposti alla forza dell’oceano e del vento non potendo mettersi al riparo in un porto o in una baia protetta, di non poter essere raggiunti da soccorsi, ove dovessero essere necessari, può provocare disagi, paure e stati di ansia.
E non c’è niente di male in assoluto, siamo tutti diversi.
Il mio consiglio però è quello di provare perlomeno una crociera o un trasferimento di due o più giorni prima di imbarcarti per la traversata Atlantica. Potrai capire così che sensazioni ti provoca vedere solamente acqua e cielo a 360° intorno alla barca e non avrai sorprese in mezzo all’Oceano.
E se credi che la tua più grande paura sia proprio la lontananza dalla terra, considera che in realtà una barca in mare aperto è molto più sicura di una che naviga sottocosta: che sia di legno, in vetroresina, di alluminio o in acciaio, una barca sarà sicuramente più fragile di uno scoglio. Se ci sbatti contro, rischi seri danni allo scafo e all’attrezzatura.
In alto mare questo pericolo non c’è.
La marineria: conoscere le nozioni base della navigazione a vela
Infine c’è l’aspetto “marineria”.
Durante una lunga navigazione come la traversata oceanica è necessario conoscere per lo meno le nozioni base dell’andare a vela: saper manovrare una barca, saper regolare le vele, conoscere un minimo gli strumenti di bordo, conoscere le andature, saper gestire e condividere gli spazi in barca, e non solo.
Ovviamente non bisogna sapere o conoscere tutto! Il comandante avrà modo di spiegarti come funziona la barca prima di salpare. È certamente nel suo interesse che tutte le persone a bordo sappiano dove e come mettere le mani in caso di bisogno. Ciò nonostante non si può avere la pretesa di imparare tutto sul momento. Bisogna già conoscere i fondamentali della vela.
Come per la lontananza dalla terraferma, che deve essere gestita con la giusta predisposizione mentale, anche per acquisire un minimo di nozioni e quel che si chiama “piede marino” è necessario che l’aspirante navigatore oceanico abbia trascorso un po’ di tempo su barche a vela. Vacanze, trasferimenti, regate, corsi. Non importa tanto che tipo di esperienza si è avuta, ma è importante averla fatta.
Per capire cosa vuol dire stare su una barca, per sapere come muoversi e dove mettere le mani, ma anche per sapere se si ha l’attitudine giusta per affrontare una simile navigazione. Ad esempio bisogna sapere se si soffre il mal di mare.
Anche se il mal di mare è in realtà un problema secondario: in lunghe tratte come questa, ci si abitua durante le prime ore o al massimo nei primissimi giorni. Tanto per dire, io stesso ho avuto dei disturbi nelle prime ore di navigazione, ogni volta che partivamo da un porto. Passati questi primi momenti, è andata sempre liscia come l’olio.
Ti dirò di più: il mondo è pieno di grandi navigatori oceanici – del passato e del presente – che soffrono di mal di mare. Semplicemente lo sanno. Partono consapevoli del fatto che staranno male per un po’ e che poi tutto passerà. E se il mal di mare fosse un problema così grande non credi che rimarrebbero a terra? Evidentemente navigare a vela in mezzo all’Oceano è un piacere così grande che non può essere limitato da un futile disturbo passeggero.
Concludo ricordando che la traversata Atlantica non è una vacanza, anche se ti imbarchi come ospite pagante. Quando si salpa dovrai partecipare attivamente alla vita di bordo. Tutti sono tenuti a fare i turni di guardia per controllare la rotta, evitare collisioni con navi e altre barche, controllare le previsioni meteo e i groppi (o squall) attraverso il radar, etc.
In caso di necessità bisognerà aumentare o ridurre la velatura, cambiare rotta, regolare le vele, abbattere, virare, ammainare e issare vele, e così via. Infine va controllata l’attrezzatura, bisogna fare le necessarie riparazioni, cucinare, apparecchiare, lavare i piatti, tenere in ordine la barca, e chi più ne ha più ne metta.
Insomma, quando si è chiamati a fare una cosa bisogna farla, ovviamente nel limite delle proprie capacità. In situazioni più critiche e delicate sarà il comandante a dare istruzioni alle persone a bordo, in base alle capacità di ognuno.
Ma ti assicuro anche che ci sarà tantissimo tempo libero per leggere un libro, ascoltare musica, fare fotografie, chiacchierare, o semplicemente contemplare in silenzio un bel tramonto lì davanti alla prua della barca.
Come mi sono preparato e cosa ho messo nella borsa per affrontare 5.000 miglia in barca a vela
Se hai letto fino a qui, sotto sotto hai voglia di partire per una traversata Atlantica. Non è così? Bene!
Allora concludo raccontandoti come mi sono preparato io e cosa mi sono portato per affrontare la lunga navigazione oceanica.
Prima della partenza: cosa ho fatto per prepararmi
Come avrai capito se hai letto i paragrafi precedenti, durante la traversata Atlantica si naviga per la maggior parte del tempo lontani da terra, il che vuol dire lontani da porti o approdi sicuri e, soprattutto, lontani da assistenza medica e mezzi di soccorso.
Anche se può fare paura, non è detto che ciò sia negativo. La giusta dose di paura ti rende sempre vigile e concentrato su quello che si sta facendo. L’importante è che non diventi panico.
Partire in buona forma è, secondo me, il minimo che si possa fare. E un check-up medico pre-partenza è il miglior modo per affrontare in tranquillità una navigazione lunga, impegnativa e lontana da medici, ospedali e farmacie.
Per questo, per prima cosa ho fatto le analisi del sangue e delle urine, insieme ad una visita dal medico di famiglia.
Poi ho fatto una visita dentistica (vorrei vedere che faresti se avessi un problema serio ai denti a 1.000 miglia di distanza dalla terra più vicina!) e una visita oculistica specialistica, visto che fin da bambino mi porto una scocciatura a un occhio che devo tenere sotto controllo.
Sia al medico di famiglia che agli specialisti ho spiegato cosa sarei andato a fare e mi sono fatto prescrivere dei farmaci da assumere in caso di necessità.
Le analisi del sangue, delle urine, la visita dal proprio medico di famiglia e il controllo ai denti li consiglierei a tutti, a prescindere. Poi ognuno dovrebbe controllare patologie pregresse già note, in modo da poterle affrontare in autonomia se dovessero manifestarsi delle ricadute.
Per le patologie più comuni c’è cassetta di primo soccorso di bordo, che contiene aspirine, ibuprofene, pasticche per il mal di mare, ma anche garze, cerotti, disinfettante, pomate per ustioni, stecche per fratture, etc. Ma è tuo compito portare farmaci specifici che potrebbero servirti, oltre a quelli che già prendi regolarmente. Come per esempio cortisonici, miorilassanti, antidolorifici, antistaminici, etc. Ricordati quindi di farteli prescrivere per tempo.
Oltre a controllare la propria salute, prima di partire è buona norma prepararsi ad affrontare un’emergenza in mare. Esistono corsi specifici per equipaggi che partecipano a regate d’altura (offshore) in cui è richiesta una preparazione in questo senso. L’Offshore Personal Survival è uno di questi ed è rivolto proprio a chi deve affrontare navigazioni lunghe e impegnative, in cui ci si potrebbe imbattere in situazioni di emergenza. Il corso dura due giorni ed è diviso in lezioni teoriche e in esercitazioni pratiche, che si svolgono in piscina.
Durante le lezioni teoriche ti spiegheranno qual è il modo migliore di affrontare una situazione critica in alto mare: cosa fare e, soprattutto, cosa NON fare; quali sono e come si usano gli equipaggiamenti individuali e collettivi di sicurezza e salvataggio; come prevenire e come gestire un incendio a bordo; quali sono i segnali di emergenza e come si usano; come si fa una chiamata di emergenza sugli apparati radio di bordo, e tanto altro.
La pratica si svolge in piscina. Ti insegneranno come nuotare con il salvagente (ci hai mai provato? È più difficile di quanto possa sembrare!); imparerai le tecniche di nuoto di gruppo; come indossare la tuta di sopravvivenza; come aprire la zattera di salvataggio e come raddrizzarla nel caso di gonfiasse capovolta; come salire sulla zattera; come essere recuperato dal verricello di un elicottero, e molto altro.
Insomma, per chi va per mare è un corso utile, a prescindere dalla traversata Atlantica. Per questo te lo consiglio in ogni caso.
Ci sarebbe anche il corso per i marittimi professionisti, i cosiddetti STCW95. Sono corsi decisamente più approfonditi, durano un’intera settimana e il loro costo è sicuramente più elevato.
Una delle scuole più rinomate in Italia sia per l’Offshore Personal Survival sia per gli STCW95 è il Centro Addestramento Soccorso e Sopravvivenza di Anzio, in provincia di Roma. È il centro in cui anche io ho fatto i corsi e mi sono trovato molto bene.
Ho un ultimo consiglio da darti.
Prima di mollare gli ormeggi, fai anche un corso di primo soccorso, meglio noto come BLS-D (Basic Life Support-Defibrillation). Imparerai a soccorrere persone colpite da arresto cardiaco improvviso mediante la rianimazione cardiopolmonare (RCP) e l’uso del defibrillatore. Ti insegneranno anche le manovre di disostruzione delle vie respiratorie. Non è un corso specifico e necessario per la barca. Ma saper intervenire in caso di arresto cardiaco, sia che succeda mentre passeggi sotto casa, sia, a maggior ragione, in alto mare, potrebbe davvero salvare la vita della persona in difficoltà.
Il corso dura mezza giornata e al suo termine ti rilasceranno un patentino da rinnovare ogni due anni. Lo organizzano scuole specialistiche o la stessa Croce Rossa Italiana. Informati, sicuramente vicino casa tua troverai un centro che lo organizza!
Per la mia attività di noleggio di barche, sono obbligato ad avere i corsi STCW95 sempre aggiornati (tra cui è incluso anche il corso BLS), quindi non ho dovuto rifarli prima di partire per la traversata Atlantica, visto che erano ancora validi.
Ma se ancora non li hai fatti e intendi partire, ti consiglio vivamente di farli, insieme ai check up medici di cui abbiamo parlato prima.
Cosa ho messo nella borsa per la traversata Atlantica
Eccoci giunti a un altro aspetto importante della preparazione per la traversata Atlantica: cosa mettere in borsa.
Se parti per la sola traversata Atlantica, dalle Canarie ai Caraibi, la questione è relativamente semplice. Anche in inverno il clima alle Canarie è mite, quindi sono sufficienti vestiti prettamente estivi. Aggiungi giusto un paio di pantaloni lunghi, un paio di felpe o maglioncini e un giacchetto per la sera.
Una volta partiti per la traversata Atlantica dalle Canarie, si punterà subito verso latitudini più basse per andare a prendere gli alisei il prima possibile. La temperatura mediamente si alzerà di giorno in giorno, fino a diventare decisamente estiva. Una volta arrivati ai Caraibi… manco a dirlo! Sole, spiagge, palme… insomma costumi, pantaloncini, infradito, magliette o canotte!
Ciò nonostante, durante la navigazione la sera e la notte farà fresco. E ricordati che più ci si avvicina all’equatore, più la notte è lunga. Sulle latitudini di Martinica il sole tramonta verso le 18 e sorge verso le 6:30 (circa 12 ore di buio!). Quindi ti consiglio di portare comunque pantaloni lunghi, felpa, giacca antivento e scarpe chiuse. Sia chiaro, c’è chi è più freddoloso e chi meno, ma nel dubbio non partirei solo con costumi e magliette.
Da metà traversata in poi sono frequenti gli squall (o, come li chiamiamo qui, groppi) ovvero repentine variazioni di direzione e aumento notevole dell’intensità del vento, spesso e volentieri accompagnati da nubifragi, che da quelle parti sono vere e proprie bombe d’acqua.
Durano in media dai 15 ai 30 minuti, ma lasciano tutto il tempo di inzupparti per bene e di abbassare molto la temperatura dell’aria. Ergo, porta vestiti adatti a coprirsi dal freddo, giacca e pantaloni resistenti all’acqua (la cosiddetta “cerata”), scarpe chiuse (meglio se stivali).
Vuoi sapere di preciso cosa ho messo nella mia borsa?
Ecco la lista di ciò che mi sono portato: biancheria (mutande e calzini leggeri e più pesanti), costumi (2), t-shirt (6 o 7), magliette a maniche lunghe (2), felpe (2), pantalone tuta (1), pantaloncini corti (2), pantaloni lunghi (2), giacca cerata (1 pesante e 1 leggera), pantalone cerata salopette (1), scarpe da barca chiuse (1 paio), stivali da barca (1 paio), scarpe per scendere a terra (1 paio), infradito (1 paio), cappello con visiera (1), giacchetto da “terricolo” per quando eravamo a terra (1, se ben piegato occupa pochissimo spazio, l’unico lusso che mi sono concesso).
Ovviamente a terra usavo gli stessi vestiti che usavo anche in navigazione (a parte il giacchetto da “terricolo”). Avevamo la fortuna di avere una lavasciuga a bordo, quindi lavavamo i panni abbastanza regolarmente. In ogni caso tutti i marina dove ci siamo fermati erano dotati di lavanderie self service dove poter fare una bella lavatrice.
C’è da considerare però che io sono partito da Roma, all’inizio di novembre, e che per arrivare alle Canarie ho dovuto attraversare il Tirreno, il golfo del Leone, il mare di Alboran e la prima parte di oceano Atlantico, da Gibilterra fino a Las Palmas di Gran Canaria. Sono partito praticamente in inverno e quindi ho dovuto aggiungere qualche indumento più pesante, come: maglie termiche (2), pantaloni termici (2), pile pesante (1), pile leggeri a maniche lunghe (2), calzini termici (3 paia), cappello pesante (1), scaldacollo (2), guanti barca (1 paio, mai usati!).
Come infilare tutta questa roba dentro una borsa rigorosamente morbida che poi dovrai riportarti indietro in aereo?!
E no, non pensare a un bel trolley rigido o semirigido con quattro belle rotellone. I trolley a bordo delle barche sono vietati! Soprattutto in una navigazione del genere dove, se iniziano a sballottare a destra e sinistra, finiranno per rovinare i legni o rompere qualcosa. Senza contare che non ci sarebbe lo spazio materiale (no, nemmeno su una barca a vela da 18 metri!) per riporlo una volta svuotato.
Ma non è finita qui. Oltre ai vestiti ci sono gli “accessori”.
Ecco cosa ho portato io: occhiali da sole, il mio fidato Leatherman, telecamera Insta360 One x2, telecamera Garmin Virb Ultra 30, il pc con 2 hard-disk esterni per fare montaggi estemporanei e salvare i video per liberare la memoria delle telecamere (a Gibilterra ho dovuto comprare un terzo hard-disk per questo!), ebook Kobo, auricolari bluetooth, cavi per ricaricare tutti i dispositivi, Garmin InReach mini (con cui ho comunicato per tutto il viaggio con le persone a terra), il mio giubbotto autogonfiabile e cintura di sicurezza con 3 punti di ancoraggio (a bordo ci sarebbero stati anche per me, ma sai, io del mio giubbotto mi fido ciecamente, dopo tutte le miglia e le regate che ci ho fatto insieme!), luce frontale, materiale per impiombare le cime (feeder, pooler, caviglia, aghi, filo, guardapalmo, hot-knife, etc), due rasoi (uno per i capelli e l’altro per la barba), borraccia in alluminio da mezzo litro, crema solare, burro di cacao e per finire la borsetta con i medicinali.
Ecco, prova ora a chiudere la maledetta zip del borsone!
Sì, avevo anche uno zaino impermeabile dove ho messo il pc e tutto il materiale elettronico, ma era veramente tanta roba. D’altronde sarebbero stati anche tanti giorni di navigazione, tante miglia da percorrere, tanti climi diversi. Quindi in fondo non potevo fare tanto meglio di così!
Per fortuna da Decathlon ho trovato un super borsone che poteva essere portato anche in spalla a mo’ di zainone. Ma tanti litri vuol dire anche tanto peso! Per indossarlo dovevo appoggiarlo sul letto, sedermi, infilarlo sulle spalle e poi alzarmi in piedi. Era impossibile indossarlo in piedi, a meno di avere un tavolo o un piano rialzato a portata di mano su cui appoggiare il bestione.
E poi dovevo lasciare spazio a qualche cosa che avrei comprato lungo la strada, no? Qualche pensierino e ricordo del meraviglioso viaggio. O almeno così pensavo.
Alla fine, insieme al mio amico Marco, abbiamo riportato indietro solo ottimo rhum agricolo!
C’era però il limite dello spazio nelle borse, del peso complessivo e della quantità di alcolici che ognuno può portare con sé in aereo (4 litri per persona). Una tragedia insomma! Ma anche meno male, altrimenti avremmo pagato non so quanti altri chili di straforo!
Concludo con un aneddoto: tra le mille cose che ci eravamo portati, né io, né Marco avevamo una bilancia per pesare le borse. L’abbiamo cercata un pomeriggio intero a Martinica (anche da Decathlon!) ma non l’abbiamo trovata.
Così abbiamo comprato una bilancia per pesare le persone, a circa 10€ (batterie incluse!). Quando abbiamo preparato le borse, prima ci siamo pesati senza borsa e poi con indosso la borsa. Così abbiamo calcolato quanto pesavano i bagagli: eravamo al limite e la bilancia non era precisissima.
Eravamo quindi pronti a sacrificare una serie di vestiti in aeroporto nel caso avessimo sforato con la pesa (ah, cosa si è disposti a fare per del buon rhum!).
E comunque tutto è bene ciò che finisce bene: alla fine né io, né Marco abbiamo dovuto abbandonare nulla in aeroporto!
Come trovare un imbarco per la traversata Atlantica
Siamo arrivati alla fine di questo lungo racconto sulla preparazione per la traversata Atlantica.
Ti ho raccontato come abbiamo preparato la barca per affrontare una navigazione oceanica; ti ho detto qual è il miglior momento per partire; abbiamo parlato un po’ di cosa ci si aspetta dall’equipaggio; ti ho raccontato come mi sono preparato per la partenza e praticamente ti ho già preparato la borsa. Cosa manca?
Bhe ovvio! Quello che manca è solo un imbarco!
Vediamo come puoi trovare una barca che ti può accogliere a bordo e farti vivere questa avventurosa navigazione.
Prima di tutto c’è il sempre valido passaparola. Se conosci qualcuno che sta organizzando una traversata Atlantica o qualcuno del settore che conosce a sua volta qualcuno che sta per partire, è una delle migliori soluzioni. Il passaparola è spesso una garanzia perché puoi conoscere subito la persona che ti porterà in mezzo all’Oceano. Capisci fin da subito con chi hai a che fare, cosa non da poco per un simile viaggio.
Come seconda opzione ci sono i siti o i social. Esistono diversi siti, forum, gruppi facebook o telegram, dove c’è chi cerca imbarco e chi cerca equipaggio. È un ottimo luogo di incontro tra domanda e offerta. È vero che si può trovare di tutto, dal comandante più meticoloso a quello più improvvisato, ma è anche vero che essendo su pubblica piazza, se c’è qualcuno che ha fatto il furbo in passato, questa cosa uscirà sicuramente fuori prima o poi. E bada bene, questo vale sia per i comandanti che per i passeggeri.
In questi luoghi virtuali si trovano richieste di ogni tipo: dall’imbarco alla pari a quello a pagamento, dalla famigliola che vuole navigare tranquillamente verso il Caribe senza troppa fretta all’equipaggio super prestante che vuole arrivare primo in classifica nella classe regata dell’ARC.
Anche se cerchi un imbarco on line ci sarà la possibilità di conoscersi prima della partenza tramite email, messaggi, chiamate e videochiamate in primis. Se sarà possibile, ci potrebbe anche essere la possibilità di incontrarsi di persona prima di partire.
Se sei un marittimo professionista con tutti i corsi in regola, ci sono anche siti e gruppi specifici dove puoi farti assumere come membro ufficiale dell’equipaggio in vista della traversata Atlantica.
L’ultima opzione che posso suggerirti è decisamente più avventurosa: il barca-stop! Sì, hai letto bene: come per le macchine, si chiede un passaggio in barca per farsi portare da un punto a un altro. Pensi che sono pazzo? In realtà ci sono tantissime persone che riescono a girare il mondo con il barca-stop.
In cambio del passaggio è richiesta ovviamente la cooperazione a bordo durante la navigazione e generalmente la partecipazione alle spese comuni. Ma sono cose richieste in ogni caso, te lo posso assicurare!
Ma come fare, in pratica?
Prepara la tua bella borsa, prendi un aereo fino a una delle isole maggiori delle Canarie (io ti consiglio Las Palmas di Gran Canaria, dove c’è più traffico) e inizia a girare per i moli del porto chiedendo alle barche in partenza se possono darti un passaggio. Tutto qui.
E non ti preoccupare, saprai riconoscere al volo quali sono le barche che partiranno da lì a pochi giorni: sono quelle dove si fanno freneticamente gli ultimi lavori e dove si imbarcano decine di buste della spesa, fustini di acqua, cassette di birra, frutta e verdura. Per aumentare le probabilità di trovare un imbarco vai da metà novembre, perché di lì a poco partirà la ARC. Oltre ad un maggior numero di barche in partenza, ci sarà sempre qualche barca in cui un membro dell’equipaggio ha dovuto dare buca all’ultimo minuto. E tu potrai essere lì pronto o pronta a sostituirlo.
Quando siamo stati a Las Palmas di Gran Canaria, tutti i giorni almeno 4-5 persone venivano a chiederci un passaggio. Persone di tutte le età: da ragazzi e ragazze, fino a un simpatico signore, credo inglese, di oltre sessant’anni e con lunghi capelli bianchi. Anche coppie e amici. Alcuni ti lasciano veri e propri volantini su cui c’è scritto il loro nome, il numero di telefono, l’email e qualche informazione in più come età, esperienze pregresse in barca, lingue parlate, etc.
Ci sono addirittura un paio di bacheche nel marina di Las Palmas dove i barca-stoppisti appendono i loro volantini con in basso nome e numero di telefono da strappare e portare via con sé come promemoria.
L’idea del barca-stop è molto romantica, ma la certezza di trovare un imbarco ovviamente non la dà nessuno. Devi riuscire a “venderti” al meglio e allo stesso tempo devi intuire velocemente con che tipo di persone hai a che fare. E sì, questo può essere un altro aspetto negativo: si ha poco tempo per conoscere le persone con cui si condividerà la lunga traversata oceanica. E questo vale sia per per l’ospite, sia per il comandante.
Ma se ti presenti bene e riesci a trasmettere chiaramente la persona che sei e la tua esperienza in barca a vela, non avrai difficoltà a trovare un buon equipaggio. Alcuni barca-stoppisti sono così ambiti che possono scegliere la barca con cui mollare gli ormeggi.
Per completezza volevo dirti che anche a Gibilterra un paio di ragazze tedesche (tra l’altro giovanissime) cercavano un passaggio per arrivare alle Canarie e poi proseguire verso il Caribe.
Non è necessario raggiungere le Canarie per cercare un imbarco. L’importante è trovare un porto strategico e individuare il momento in cui c’è più traffico di barche. È però certo che da metà novembre a Las Palmas di Gran Canaria si hanno ottime probabilità di trovare un buon imbarco, sia perché inizia la migliore stagione per le partenze, sia perché a fine mese decine e decine di barche si danno appuntamento proprio qui per partire per l’ARC.
E poi vuoi mettere di girare per il porto in maglietta con temperature praticamente estive invece di cercare imbarco con felpe e giacche come avverrebbe nello stesso periodo a Gibilterra?
Concludo dandoti un motivo in più per lanciarti come barca-stoppista: gli italiani sono molto ben visti come passeggeri ed hanno ottime chance di trovare un imbarco. Il motivo? Semplice: sappiamo cucinare! E in tutto il mondo, anche in barca in mezzo all’oceano, la cucina italiana è ben gradita 😉